Dal Tar ridotta del 50% la maxi-sanzione da 1,12 miliardi ad Amazon
Sotto accusa era finita la strategia di self-preferencing, ovvero un favoritismo nei confronti del proprio servizio di logistica ‘Fulfillment by Amazon’

Il Tar del Lazio ha dimezzato la maxi-sanzione da 1,12 miliardi di euro inflitta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) ad Amazon per abuso di posizione dominante a fine 2019.
L’Antitrust nel 2019 aveva aperto un’istruttoria contestando ad Amazon una strategia di self-preferencing, ovvero un favoritismo nei confronti del proprio servizio di logistica ‘Fulfillment by Amazon’, penalizzando i venditori che sceglievano operatori alternativi. Secondo l’authority si trattava di una condotta “molto grave” che ostacolava la crescita di concorrenti nel mercato della logistica per l’e-commerce e dei servizi di intermediazione su marketplace.
Il Tar nella sua sentenza ha confermato la correttezza dell’impianto istruttorio, giudicando “adeguatamente approfondita” l’attività dell’Agcm e respingendo le eccezioni di incompletezza sollevate da Amazon. Oltre a ciò i giudici hanno sottolineato come la condotta della piattaforma abbia limitato le possibilità di sviluppo di altri operatori in una fase di forte espansione delle vendite online.
Tuttavia sul piano sanzionatorio, secondo il Tar, l’Agcm non ha motivato a sufficienza l’applicazione del 50% di aumento collegato alla dimensione globale del gruppo. Da qui la decisione di eliminare l’aggravio e di mantenere la sola sanzione base, di fatto dimezzando la multa.
L’indagine italiana era avanzata parallelamente a un’altra istruttoria analoga dell’antitrust comunitario con competenza sugli altri paesi dello spazio economico europeo (che Amazon è risucita a ‘chiudereì proponendo impegni che sono stati accolti dalla Commissione Ue).
Secondo quanto già pubblicato da SUPPLY CHAIN ITALY a fine 2021 , l’indagine puntava a verificare se l’utilizzo di Fba (Fulfillment By Amazon, ovvero ‘la logistica di Amazon’, che comprende servizi di magazzinaggio e consegna offerti direttamente dall’azienda) da parte dei venditori terzi attivi sul marketplace avesse garantito loro “un insieme di vantaggi essenziali per ottenere visibilità e migliori prospettive di vendite”. Tra questi l’authority elencava: il poter sfuggire alle valutazioni (in particolare negative) cui devono sottostare gli altri retailer; il potersi fregiare dell’etichetta Prime (cioè poter accedere al bacino di consumatori più attivi e con maggior propensione alla spesa); l’accesso a iniziative quali Prime Day o Black Friday; la possibilità di comparire nella Buy Box (modalità di acquisto privilegiata dalla maggior parte dei consumatori).
Al riguardo l’autorità antitrust aveva concluso che effettivamente servirsi di Fba (quindi acquistare da Amazon, anziché da altri operatori logistici, servizi di magazzinaggio e consegna a destinazione) andava a rimuovere per i retailer “ogni preoccupazione relativa alla misurazione puntuale della loro attività da parte del gestore del marketplace” costituendo anche “la chiave d’accesso privilegiata ai consumatori Prime”.
Di più: l’authority aveva anche concluso che la scelta di vincolare il successo (in termini di vendite) di un venditore al suo avvalersi di Fba fosse frutto di una strategia aziendale deliberata. Un convincimento a cui è giunta basandosi non solo sulle email inviate dai responsabili del programma ai clienti ma anche sulle dichiarazioni rese in diverse occasioni dal fondatore del gruppo, Jeff Bezos, agli azionisti.
L’entità della sanzione inflitta dall’antitrust italiano ad Amazon aveva stupito molti ma era stata circostanziata nel provvedimento dall’authority, che più volte ha sottolineato la gravità del comportamento messo in atto dall’azienda da una posizione di (testuale) “iper dominanza”. Considerato che la normativa prevede che l’autorità possa applicare una sanzione amministrativa pecuniaria di importo fino al 10% del fatturato delle società in questione, Agcm aveva spiegato di avere calcolato l’ammontare massimo sulla base dei ricavi 2020 della capogruppo Amazon Europe Core Sarl (non resi noti con precisione, ma compresi tra i 70 e gli 80 miliardi di euro). Senza entrare nel dettaglio degli altri criteri, aveva aggiunto di avere considerato la durata delle infrazioni (calcolata in 5 anni e 11 mesi), aveva evidenziato di non avere riconosciuto circostanze attenuanti e spiegato di avere deciso invece di applicare diverse maggiorazioni. La più consistente un incremento del 50% (ovvero il massimo consentito) dell’importo a cui era fin lì pervenuta, applicato – come previsto dalla normativa – in considerazione delle dimensioni “particolarmente significative” del gruppo a livello mondiale, giungendo così alla cifra finale di 1.128.596.156,33 euro.
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