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I numeri dell’industria fashion italiana: crescita del 10% nel 2021 e ritorno ai livelli pre-Covid nel 2023

Il ‘sistema’ della moda italiana nel 2020 ha perso il 23% del suo giro d’affari e per un ritorno ai livelli pre-crisi bisognerà aspettare fino al 2023, anche se già nel 2021 si assisterà a una crescita del 10%. La ripresa del comparto, a livello globale, è comunque già in atto da alcuni mesi e […]

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22 Febbraio 2021
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Il ‘sistema’ della moda italiana nel 2020 ha perso il 23% del suo giro d’affari e per un ritorno ai livelli pre-crisi bisognerà aspettare fino al 2023, anche se già nel 2021 si assisterà a una crescita del 10%. La ripresa del comparto, a livello globale, è comunque già in atto da alcuni mesi e nel quarto trimestre 2020 si è tradotta in un rimbalzo medio del 17%.

Sono questi, in estrema sintesi, i risultati dell’ultimo report sul sistema moda dell’area studi Mediobanca, presentati nel corso della terza edizione dell’Annual Fashion Talk.

Secondo il report, a livello globale nei primi nove mesi del 2020 la perdita maggiore è stata osservata nel mercato europeo, che ha sofferto più di altri (-23,7%), per il blocco dei flussi turistici, anche se poi in tutte le aree geografiche le vendite online hanno avuto un’accelerazione a doppia cifra (mediamente +60%). La crisi ha avuto anche un impatto maggiore sui profitti delle multinazionali europee (-22,9% le vendite, -10,9 punti percentuali il calo dell’ebit margin) rispetto a quelle statunitensi (-19,7%, -7,3 p.p.).

Il ritratto scattato prima dello scoppio della pandemia era però quello di un settore in ottima salute.
Guardando alla sola Italia, nel 2019 il sistema moda valeva infatti un giro d’affari di 71,1 miliardi (+20,8% sul 2015), con una crescita media annua delle vendite nel 2015-2019 del 4,8%. Prima tra gli italiani per fatturato risultava Prada (€3,2 miliardi), al 34esimo posto nella classifica mondiale. A seguire Luxottica (2,9 miliardi), Calzedonia (2,4 miliardi), Armani (2,1) e Max mara (1,6).

Tra i settori spiccava l’abbigliamento (42,9% dei ricavi aggregati), seguito dalla pelletteria (26,1%), anche se la crescita più sostenuta era quella della gioielleria (+10,3% di media nel periodo 2015-2019) seguita dal comparto pelli, cuoio e calzature (+7,8%).

In aumento risultava anche il peso del comparto sul Pil nazionale (1,2%, contro l’1,0% del 2015).
Al 2019, il settore era inoltre caratterizzato da una forte presenza di gruppi stranieri, dato che 71 delle 177 aziende ‘italiane’ avevano una proprietà straniera, per circa il 37,2% del fatturato aggregato.
Altra caratteristica evidente era la forte proiezione internazionale, tale per cui il 66,5% del fatturato complessivo proveniva, infatti, dall’estero (il 72,8% per il solo tessile).

L’occupazione pure risultava in crescita, con più di 43.700 nuovi addetti (+16,9% sul 2015), per una forza lavoro totale di 303mila unità a fine 2019. Anche da questo punto di vista, il primato era della gioielleria (+45,0% sul 2015), seguita dal comparto pelli, cuoio e calzature (+28,7%).

A fornire una valutazione dell’andamento del settore nel 2020 e una previsione per il 2021 è stata in queste ore anche Confindustria Moda. L’associazione stima che il settore (inteso come insieme di tessile-moda-accessori) nel 2020 abbia avuto un giro d’affari di 72,5 miliardi di euro, in contrazione del 26% (circa 25 miliardi) rispetto al 2019, quando le imprese sue rappresentate avevano fatturato complessivamente circa 98 miliardi.
Secondo Confindustria Moda anche nel quarto trimestre 2020 si è però assistito a un calo marcato, di circa il 20%, in particolare per la sofferenza delle aziende medio-piccole, che verrà ridotta nel corso del 2021. Il vero e proprio recupero si avrà solo a partire dal terzo trimestre, con una accelerata nel quarto se il piano vaccinale sarà avanzato in modo significativo. In questo caso secondo Confindustria Moda il ritorno ai livelli pre-Covid si potrà avere già nel 2022.

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