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Dal Vietnam all’Italia il viaggio via mare dei chicchi di caffè Lavazza

Dopo quelli incentrati sui fertilizzanti e sul cacao, il team di esperti di logistica della società genovese Mto (parte del gruppo Finsea) ha dedicato un nuovo interessante approfondimento al ‘viaggio’ del caffé , una merce di cui la società si occupa curando i traffici dal Vietnam (secondo produttore al mondo dopo il Brasile) all’Italia di […]

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12 Aprile 2021
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Dopo quelli incentrati sui fertilizzanti e sul cacao, il team di esperti di logistica della società genovese Mto (parte del gruppo Finsea) ha dedicato un nuovo interessante approfondimento al ‘viaggio’ del caffé , una merce di cui la società si occupa curando i traffici dal Vietnam (secondo produttore al mondo dopo il Brasile) all’Italia di un cliente d’eccezione come Lavazza.

In un intervento a cura del sales manager Alessandro Savona e del coffee trader della stessa Lavazza Matteo Bianchi viene ripercorso in particolare il tragitto dei chicchi prodotti nel paese asiatico di varietà Robusta, che si caratterizza oltre che per le diverse qualità organolettiche per il fatto di crescere “ad altitudini più basse, a temperature maggiori, e di essere più produttiva e resistente”.

Un traffico – che per Mto vale “alcune centinaia di container all’anno” – che si origina “nelle piantagioni del centro-sud del paese asiatico”, dove i frutti sono raccolti. Il passaggio successivo è il loro trasferimento in sacchi nei luoghi di essicazione, dove, una volta concluso (al sole) il processo dalle bacche sono estratti i chicchi.

Un nuovo passaggio prevede che questi siano trasportati all’interno di mulini per un ‘controllo qualità’: in concreto, se ne verifica “il livello di umidità, si eliminano i corpi esterni e dove vengono separati a seconda delle dimensioni e numero di difetti”.

Il prodotto che supera il test può quindi iniziare il suo viaggio verso l’Italia. Nonostante la raccolta abbia luogo “grossomodo tra ottobre e gennaio”, precisa Savona, le esportazioni proseguono lungo tutto l’anno, con “un picco a gennaio e un rallentamento a dicembre”.

Dal paese asiatico i chicchi di caffè Lavazza sono imbarcati in container da 20′, ognuno dei quali può contenere circa “320 sacchi da 60 chili l’uno o fino a circa 21 tonnellate in caso di bulk”. Una nave feeder li trasferisce fino al porto di Singapore, dove sono trasbordati su una nave più grande sulla tratta Far East – Europa.

Come per il cacao, anche per il caffè la necessità di assorbire l’umidità porta a realizzare spesso fardaggi di carta per ricoprire le pareti dei container e inserirvi dry bags, piccoli sacchetti che raccolgono le condense.

Oltre a Mto il trasporto del caffè Lavazza, che perlomeno per la tratta marittima si conclude a Genova, vede coinvolte diverse realtà del gruppo Finsea. Tra queste Yang Ming Italy e Sat, casa di spedizioni che si occupa delle pratiche doganali e in particolare del “transito della merce in regime di T1, che permette lo spostamento delle merci da un punto all’altro della Comunità Europea senza riscossione immediata dei diritti doganali”.

Dal porto ligure il caffè si dirige verso magazzini doganali di Liguria e Piemonte, dove i chicchi sono “nazionalizzati” e hanno luogo i controlli sanitari a campione. Superati i test, i chicchi si dirigono “verso gli stabilimenti piemontesi Lavazza di Settimo Torinese e Gattinara”, dove sono trasformati in prodotto finito (macinato, in capsule o in grani), o in un terzo stabilimento in provincia di Isernia se invece sono destinati alla decaffeinizzazione.

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