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L’altro lato del sofà: per DiGiò made in Italy favorito dalla crisi del trasporto marittimo

La crisi del trasporto marittimo (con partenze cancellate, noli lievitati e ritardi ai massimi storici) può rappresentare per alcuni, riprendendo il famoso detto giapponese, al contrario una opportunità. Ad averlo sperimentato è DiGiò, azienda produttrice di divani di Matera che in un’intervista a FurnitureToday, per voce del suo direttore vendite ha dato di questo particolare […]

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13 Aprile 2021
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La crisi del trasporto marittimo (con partenze cancellate, noli lievitati e ritardi ai massimi storici) può rappresentare per alcuni, riprendendo il famoso detto giapponese, al contrario una opportunità.

Ad averlo sperimentato è DiGiò, azienda produttrice di divani di Matera che in un’intervista a FurnitureToday, per voce del suo direttore vendite ha dato di questo particolare momento storico (anche per il settore della logistica) una lettura quasi all’opposto di quella della collega Natuzzi.

Se questa, nel suo ultimo report economico-finanziario, ha infatti spiegato che le difficoltà globali dei trasporti (e in particolare la scarsa disponibilità di container) hanno posto un freno alla sua capacità di effettuare consegne nel quarto trimestre, limitando così il suo business e generando extracosti logistici pari a quasi un milione di dollari, la società di Matera guidata da Giovanni Sforza, specializzata in particolare nel realizzare divani in pelle, ha invece parlato dei vantaggi derivati da questa stessa situazione.

In particolare il presidente dell’area vendite Steve Lush ha evidenziato espressamente come “problemi logistici e di supply chain” abbiano fatto aumentare la domanda di beni di provenienza italiana. Secondo Lush in particolare le rate dei noli marittimi dall’Italia [verso i paesi d’esportazione] “sono rimaste notevolmente stabili, con solo un leggero aumento”, quindi decisamente al di sotto di quelle che sono ora offerte dai paesi asiatici.

Questo, in aggiunta al fatto che per questi prodotti non sono previsti dazi (né c’è la minaccia che possano essere previsti nell’immediato futuro) ha finito col “premiare la produzione Made in Italy”, solitamente più costosa, perché in sostanza i costi logistici elevati da altri paesi d’origine hanno livellato questa differenza.

Tanto da portare l’azienda ad aumentare la sua capacità produttiva ampliando lo stabilimento da circa 24mila a 42 mila metri quadrati, e da 140 a 235 container di merce al mese, potendo arrivare con un intervento aggiuntivo a 500.

Secondo Lush inoltre l’esistenza di una relazione commerciale stabile tra gli Stati Uniti e l’Europa sta portando molti rivenditori a diversificare la propria area di fornitura e a considerare l’Italia come “un’alternativa molto interessante”.

“Al momento stiamo eseguendo un ciclo di produzione di cinque settimane, quindi il tempo totale dall’ordine al ricevimento presso il magazzino del rivenditore è di circa nove settimane”, ha aggiunto ancora il manager, secondo il quale “questo aiuta i nostri clienti a far circolare meglio il loro inventario”.

Come accennato sopra, un racconto decisamente diverso da quello fatto da Natuzzi che però, al di là della collocazione geografica e del settore produttivo, pare avere poco a che fare con l’azienda di Matera. La società di Bari presieduta da Pasquale Natuzzi, quotata al New York Stock Exchange, ha infatti impianti produttivi, oltre che in Italia, in Cina, Brasile e Romania. In particolare secondo quanto riportato nel report relativo al quarto trimestre 2020 sono state “le vendite di prodotti non brandizzati nel mercato americano, servito dalla produzione in Asia” a essere più di altre penalizzate dalla crisi dei container vuoti e dalla scarsa disponibilità di materiali di lavorazione.

F.M.

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