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Economia

Si fermano le spedizioni di vino made in Italy negli Usa

Dopo l’exploit del frontloading, esportatori e importatori attendono la decisione di Trump sui dazi

di REDAZIONE SUPPLY CHAIN ITALY
27 Marzo 2025
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Finito l’effetto frontloading, per l’export di vino italiano negli Stati Uniti è arrivata ora la fase dello stallo, con spedizioni ferme in attesa dell’implementazione dei dazi voluti dalla amministrazione Trump sui prodotti di origine europea.

Del fenomeno ha parlato ieri un articolo del Sole 24 Ore, rilevando come questo sia in atto da “cinque-sei giorni”, coerentemente con il fatto che eventuali carichi inviati a partire da quella data verrebbero sbarcati nel paese dopo il 2 aprile, data indicata dal presidente Usa come scadenza per l’implementazione delle nuove tariffe.

Un riscontro simile è stato fornito da Micaela Pallini, presidente di Federvini, al Corriere della Sera. Alla testata Pallini ha spiegato come i suoi associati abbiano “spedito tutto quello che [si] poteva spedire” e che “adesso è tutto fermo”. Pallini ha aggiunto che gli stessi esportatori si stavano trovando a fronteggiare costi aumentati, poiché gli importatori “chiedono ai produttori un aiuto per far fronte ai costi del magazzino e di estendere i termini di pagamento”; inoltre “sono aumentati i noli, i container”.

Tra gli operatori che stanno vivendo la situazione descritta c’è ad esempio la Ruffino di Pontassieve, società che fa capo al gruppo americano Constellation Brands. Secondo quanto riferito al Sole24Ore, la società, che esporta negli Usa la metà del suo fatturato (per 60 milioni di euro), ha dovuto prendere atto dello stop agli ordini da parte della catena TotalWine e al momento avrebbe circa un milione di bottiglie bloccate a Livorno, dopo la cancellazione di tutti gli ordini di marzo.

Pochi giorni prima, l’associazione di importatori Us Wine Trade Alliance aveva dato al riguardo precise e perentorie indicazioni ai suoi membri: “Consigliamo a tutte le società americane di sospendere l’importazione di vini, spiriti e birra dalla Ue”. Secondo la Uwta, il rischio che il 2 aprile gli Usa rispondano ai dazi che saranno applicati dalla Ue a partire dal 1 aprile su bourbon e altri prodotti statunitensi è alto. L’associazione ha aggiunto di essere al lavoro per far sì che possa valere una eccezione per i cosiddetti goods on the water (merce in transito al momento dell’introduzione della nuova normativa), ma di non poter offrire garanzie al riguardo. L’associazione si poi espressa molto criticamente verso queste potenziali misure, evidenziando che per importatori e distributori Usa dazi che siano “tra il 50 e il 200%” potrebbero portare le attività al fallimento.

Secondo quanto aggiunto al Sole24Ore da Renzo Cotarella, amministratore delegato della Marchesi Antinori di Firenze, casa viticola che esporta in Usa quasi il 15% del fatturato (per circa 35 milioni di euro) e che pure si trova con un fermo delle spedizioni, lo stock presente sul mercato americano dovrebbe permettere di soddisfare la domanda almeno per un paio di mesi. Leggermente diverso il riscontro fornito dalla cantina trentina Cavit (export negli Usa per il 30%, circa 75 milioni), che ha parlato solo di un “rallentamento degli ordini” negli ultimi cinque-sei giorni.

Ancora in precedenza i rappresentanti dei tre consorzi Prosecco Doc, Conegliano e Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg e Asolo Prosecco Docg, che pure invece hanno sospeso le spedizioni verso gli Usa, avevano inviato uan lettera ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida dove, oltre a paventare il rischio di una applicazione di dazi a beni ‘on the water’, ricordavano il peso del paese sul totale delle vendite estere (circa 130 milioni di bottiglie per il Prosecco Doc, ovvero il 23%; oltre 3,5 milioni di bottiglie di Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, 32 milioni bottiglie per la Docg Asolo Prosecco, 75%).

Sul tema nella giornata di ieri si è espressa anche Federvini, che ha spiegato per voce del direttore generale Marco Montanaro di avere chiesto alle istituzioni italiane ed europee di “intervenire senza indugio per rimuovere i vini e i whiskey statunitensi dalla lista tariffaria europea”, in modo a suo dire di evitare le ritorsioni Usa sulla produzione di vino comunitaria. Montanaro ha anche descritto il mercato Usa come “insostituibile”.

Secondo l’ultimo report di Ismea (su base dati Istat), l’export di vini italiani ha toccato nel 2024 gli 8,135 miliardi di euro in valore (+5,5% sull’anno precedente) e i 21,738 milioni di ettolitri in volume (+3,2%). gli Stati Uniti continuano a essere la principale meta dei vini italiani, per una quota pari al 24% del totale, con un valore di 1,938 miliardi di euro (+10,3%) per 3,6 milioni di ettolitri (+7% sul 2023).

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