Dalla guerra Israele – Iran rischi per le forniture di alluminio
Salgono i timori per la possibile chiusura dello Stretto di Hormuz, mentre il viceministro Edoardo Rixi ha annunciato la convocazione del Comitato Interministeriale per la Sicurezza Marittima

Al momento lo Stretto di Hormuz, via d’acqua che funge da punto di accesso al Golfo Persico dal Golfo di Oman (e viceversa), continua a essere aperto ai traffici – nonostante alcuni allarmi infondati lanciati nelle ore scorse – ma una sua eventuale chiusura porrebbe avere gravi conseguenze per l’industria europea dell’alluminio. Lo segnala Mario Conserva, Segretario Generale Face (Federazione Europea dei Consumatori di Alluminio), a pochi giorni dallo scoppiare della guerra tra Israele e l’Iran, mentre crescono i timori per un blocco alla via d’acqua.
Secondo l’associazione, le conseguenze sull’Europa di una chiusura dello stretto potrebbero essere “devastanti: un aggravamento drammatico della crisi economica già in atto, panico nei mercati, interruzioni e perdite industriali, tensioni sociali e instabilità politica”. L’Ue, segnala Face, ha un deficit di alluminio primario superiore all’87% del fabbisogno interno. “Ogni anno sono necessarie 7 milioni di tonnellate di alluminio grezzo per alimentare l’industria, e oggi si rischia anche una fuga di rottami verso gli Stati Uniti, dove questo materiale strategico è esentato dai dazi del 50% imposti dall’amministrazione Trump. A ciò si aggiungono le restrizioni legate alla guerra in Ucraina, che hanno ulteriormente limitato le opzioni di approvvigionamento dell’Ue, rendendoci totalmente dipendenti da rotte marittime lunghe, costose, inquinanti e instabili”.
“L’aumento dell’insicurezza nelle rotte marittime del Sud globale – Indo-Pacifico, Golfo Persico, Mar Rosso e Africa occidentale – così come le possibili crisi transatlantiche connesse alla Groenlandia e al Canada, espongono l’Europa a un livello di vulnerabilità nella catena di approvvigionamento dell’alluminio che non si vedeva dalla Seconda Guerra Mondiale”.
Il tema delle rotte marittime nel contesto delle forniture di alluminio è tornato di attualità, come detto, con l’avvio del conflitto e la possibile chiusura dello Stretto di Hormuz, che consente il transito anche di circa un terzo del petrolio e un quinto del gas naturale liquefatto scambiati globalmente.
A scatenare le preoccupazioni sono state le dichiarazioni di Esmail Kosari, membro della Commissione Sicurezza del parlamento iraniano, secondo il quale la sua chiusura al traffico sarebbe sotto seria valutazione.
Alcuni commentatori teorizzano che comunque molto difficilmente Teheran opterà per un blocco totale della via, perché uno stop ai traffici delle petroliere metterebbe in difficoltà un settore da cui dipende l’intero paese. Tuttavia, come rilevato ad esempio dall’analista Lars Jensen, nel settore dei trasporti marittimi (e non solo) a volte anche solo una minaccia credibile o un numero limitato di attacchi sono sufficienti per dare il via a riconfigurazioni ‘volontarie’ e durature dei traffici, come visto nel caso del Mar Rosso a seguito degli attacchi degli Houthi.
Anche nel caso dello stretto di Hormuz, la presenza di un rischio potrebbe spingere molti operatori a deviare i loro traffici. Cosa che molto probabilmente si tradurrebbe però non in uno stop completo degli scambi, ma in un vantaggio per le shipping company locali, non prese di mira, che potrebbero aumentare la loro quota di mercato.
Sul solo trasporto container, l’impatto di uno stop, completo o meno, sarebbe comunque significativo considerato che impedirebbe l’accesso verso hub di transhipment globali a Dubai e Abu Dhabi, interrompendo le rotte verso Arabia Saudita, Qatar, Bahrein, Kuwait e Iraq.
L’escalation in corso, osserva Loadstar, allontana in ogni caso il possibile rientro a pieno regime dei transiti lungo Suez e il Mar Rosso. Nell’area peraltro la minaccia degli Houthi continua ad incombere. Nonostante l’annuncio delle milizie di non voler più attaccare navi commerciali senza legami con Israele, solo quattro giorni fa una fonte interna al movimento aveva lanciato tramite Newsweek un avvertimento verso gli Stati Uniti nel caso in cui questi avessero deciso di intraprendere azioni contro l’Iran, cosa che in parte il paese è già accusato di aver fatto avendo ‘permesso’ gli attacchi di Israele. Nell’area resta attiva comunque la missione Ue Aspides: un suo portavoce ha dichiarato a Reuters che questa continuando con la normale attività, ma sta anche monitorando gli sviluppi nella regione.
Nel frattempo, dal palco dell’assemblea pubblica di Assagenti a Genova, il viceministro alle Infrastrutture e Trasporti, Edoardo Rixi, ha annunciato per domani (17 giugno, ndr) la convocazione del Cism (il Comitato Interministeriale per la Sicurezza Marittima), “per capire quale rilevanza può avere per il traffico marittimo la guerra fra Iran e Israele”.
Sul tema della possibile interdizione di Hormuz, si è espressa nei giorni scorsi già anche Xeneta, che nella sua analisi settimanale prefigurava nel caso la deviazione dei servizi, “con un maggiore affidamento sui porti della costa occidentale dell’India per collegare l’Estremo Oriente al subcontinente indiano”, con conseguenze in termini di congestione portuale, aumento del prezzo del petrolio e dei noli container con la possibile introduzione di un security surcharge.
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