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Silvestri (Müller Italia): “Vi spiego perché è troppo difficile far salire sul treno gli alimenti refrigerati”

“Salvo sorprese, il prossimo anno dismetteremo il (lungo) test di trasporto intermodale di container refrigerati di yogurt dallo stabilimento produttivo di Dresda a Milano e torneremo a farli viaggiare solo su gomma“. È con un certo rammarico che Michele Silvestri, Supply Chain Manager di Müller in Italia, si appresta a salutare un progetto avviato nel […]

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30 Ottobre 2020
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“Salvo sorprese, il prossimo anno dismetteremo il (lungo) test di trasporto intermodale di container refrigerati di yogurt dallo stabilimento produttivo di Dresda a Milano e torneremo a farli viaggiare solo su gomma“.

È con un certo rammarico che Michele Silvestri, Supply Chain Manager di Müller in Italia, si appresta a salutare un progetto avviato nel 2015 ma in cui ha creduto sin dai primi anni dello sbarco dell’azienda tedesca nella Penisola nel ’95, e che, racconta ora, ha cercato in tutti i modi di salvare, senza però trovare collaborazione sufficiente.

Müller, spiega Silvestri, produce infatti i suoi yogurt in due stabilimenti situati ad Augsburg e Dresda, e li spedisce in Italia, dove confluiscono in due magazzini nei pressi di Milano e Roma, principalmente via camion. Il flusso verso la Penisola è di circa 55-60mila tonnellate all’anno.

Già nella seconda metà degli anni ’90 la filiale italiana aveva però provato a sperimentare il trasporto intermodale, attraverso il sistema (diffuso negli USA ma che in Europa non ha mai attecchito) dei roadrailers, semirimorchi stradali attrezzati per il trasporto intermodale, che dunque potevano essere posti direttamente sugli assali ferroviari. “Ci eravamo rivolti a BTZ- Bayerische Trailer Zug, che offriva il servizio sulla tratta Verona – Monaco”.

L’esperienza venne archiviata nel giro di poco per via dei problemi finanziari della stessa BTZ, ma la spinta a ritentare la via dell’intermodalità ha portato Müller Italia, sempre su iniziativa del suo Supply Chain Manager, ad avviare nel 2015 una nuova sperimentazione che ha tratto la sua ragion d’essere proprio da certe regole (e relative eccezioni) che limitano il trasporto su gomma in Germania.

“C’è una disomogeneità nei regolamenti UE sul peso massimo trasportabile da un veicolo su strada che limita le possibilità di satura­re in maniera ottimale i mezzi e può essere causa di instabilità del carico” spiega Silvestri. “Germania e Austria, ad esempio, permettono un peso fino a 40 tonnellate, con un massimo di 11,5 tonnellate sull’asse motore e di 10 sui restanti, mentre in Italia il massimo consentito è di 44 tonnellate per il veicolo e di 12 ad asse, senza distinzioni”. La normativa tedesca prevede però anche una deroga a favore degli operatori che effettuano trasporto intermodale, purché la tratta stradale non superi i 150 km di distanza tra punto di carico/scarico e terminal ferroviario, concedendo di arrivare a trasportare fino a 44 tonnellate.

Sfruttando questa opportunità, Müller nel 2015 ha fatto salire sul treno i primi bancali di yogurt prodotti a Dresda.  Dallo stabilimento produttivo, dopo una tratta stradale di circa 120 km, ogni settimana tre container refrigerati venivano caricati su carri ferroviari a Lipsia, in direzione di Verona, sul servizio di TX Logistik (FSI) che raggiunge l’interporto Quadrante Europa.

“Il container refrigerato intermodale ’45 che ospita 33 pallet – spiega ancora Silvestri – è largo 2,42 metri, dunque meno dei 2 metri e 48 di certi semirimorchi, e quindi lascia poco ‘gioco’ ai prodotti che così possono anche viaggiare in condizioni di maggiore stabilità”.

Anche dal punto di vista del transit time, la scelta è risultata sensata, perché le 48 ore offerte del trasporto ferroviario sono equivalenti a quelle del trasporto stradale. Lo sbilanciamento dei flussi dovuto alla scarsità di carichi in export dalle aree di Verona – Milano per la tratta verso Lipsia e Dresda ha però causato difficoltà ed irregolarità dei collegamenti.

“Attenzione: non abbiamo mai ricevuto delle consegne di prodotti ‘in obsolescenza’, cioè con una vita residua minima inferiore rispetto a quella di 21-23 giorni che garantiamo ai nostri destinatari (e mediamente superiamo, raggiungendo i 27-28 giorni) ma spesso ci siamo avvicinati al limite inferiore, per via di transit time da punto a punto che sono arrivati (in un caso solo, per fortuna) a raggiungere complessivamente anche i sette giorni.  A noi, che operiamo non con criterio FIFO ma con quello FEFO (ovvero, non First In, First Out ma First Expiring, First Out, ndr), questa incertezza crea grossi problemi di gestione“.

Per questo motivo i tre container di traffico settimanale via ferro del 2015 ad oggi sono diventati uno solo e scenderanno a zero il prossimo anno.

“Certo, Dresda non è la Ruhr, dove i servizi intermodali sono più diffusi anche per container frigo ed è più facile trovare carichi in salita, cioè dall’Italia alla Germania, e quindi complementari al nostro. Noi ci siamo anche attivati direttamente contattando quelli che su LinkedIn dichiarano di essere i direttori logistici delle aziende che sappiamo avere carichi da mandare in Germania, ma non abbiamo avuto successo. Sono però assolutamente convinto che se riuscissimo a bilanciare i flussi con altri produttori italiani o importatori tedeschi, l’affidabilità e l’economicità del servizio ne trarrebbero un indubbio beneficio.  Ovviamente il servizio potrebbe comunque essere utilizzato da aziende che devono spedire anche merci non alimentari, ma comunque confezionate, pallettizzate e non contaminanti”. Per gli operatori che trasportano carichi particolarmente pesanti l’incentivo potrebbe essere rappresentato dal fatto che un container frigo intermodale può arrivare a ospitare un carico di 28 tonnellate (contro le 22 tonnellate di un bilico frigo).

“Siamo a conoscenza di un potenziale ottimo servizio ferroviario tra Ulm e Parma (il riferimento implicito è al collegamento di GTS Rail al servizio di Barilla, ndr) ma finora non siamo riusciti a concretizzare nemmeno un test” continua Silvestri.

“Il problema è che i vettori intermodali sembrano letteralmente atterriti quando si tratta trasportare prodotti alimentari freschi” prosegue il manager. “Da quel che ho percepito, gli operatori temono di non riuscire a garantire il mantenimento della temperatura controllata senza minime interruzioni, e quindi di ‘perdere’ il carico. Ma in realtà lievi e brevi innalzamenti della temperatura dell’aria all’interno del semirimorchio non significano un automatico e immediato innalzamento della temperatura al cuore del prodotto. Ovviamente il discorso sarebbe tutto diverso nel caso di prodotti ‘freddi’”.

Come visto finora, l’opzione intermodale è stata considerata dal supply chain manager di Müller per i trasporti internazionali. Questo perché sin dal suo approdo nella Penisola, la società ha invece esternalizzato le attività di distribuzione a livello nazionale a Stef, che opera sul territorio sfruttando i due magazzini di Mairano, nei pressi di Lodi, e di Roma (precisamente a Santa Palomba). Dalle due strutture, Müller con Stef raggiunge tutte le Regioni italiane tramite trasporto stradale (e marittimo, per Sardegna e Sicilia, con le Autostrade del Mare), portando i suoi yogurt verso “magazzini centrali o ipermercati”. In particolare – ragiona ancora Silvestri – anche per la distribuzione verso le Regioni del Sud sarebbe interessante provare la via dell’intermodalità, vista la crescente offerta di collegamenti, anche sulla Dorsale adriatica: ma anche questa possibilità, per le stesse ragioni esposte sopra, finora non si è concretizzata.

Insomma, a sentire il Supply Chain Manager di Müller Italia, intermodalità e logistica collaborativa – ovvero due delle innovazioni su cui il settore ha più dibattuto e dichiarato di voler puntare negli ultimi anni – ad oggi sembrano due miraggi difficili da raggiungere nel concreto, nonostante i molti sforzi. E riguardo invece la digitalizzazione? “Riceviamo ordini su fax, fogli, foto, praticamente pornografia logistica! Sogno il giorno in cui riusciremo davvero a lavorare tutti con EDI (Electronic Data Interchange) e DDT elettronici” conclude Silvestri.

Francesca Marchesi

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