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Viticchié (Ariston Thermo): “Con il nuovo modello distributivo dimezzati anche i danni alla merce”

Fondato da Aristide Merloni nel 1930, il gruppo delle ‘Industrie Merloni’ è stato nel corso dei decenni riorganizzato in tre diversi filoni con la separazione tra le attività del settore termoidraulico, di quello meccanico e di quello degli elettrodomestici. Il primo dei tre, che dal 2009 ha assunto il nome di Ariston Thermo Group, è […]

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8 Dicembre 2020
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Viticchié Luciano (Ariston Thermo) (1)

Fondato da Aristide Merloni nel 1930, il gruppo delle ‘Industrie Merloni’ è stato nel corso dei decenni riorganizzato in tre diversi filoni con la separazione tra le attività del settore termoidraulico, di quello meccanico e di quello degli elettrodomestici.

Il primo dei tre, che dal 2009 ha assunto il nome di Ariston Thermo Group, è oggi una multinazionale che opera nel settore del comfort termico producendo caldaie, scaldacqua, sistemi solari termici, pompe di calore, climatizzatori, bruciatori e altro. Prodotti commercializzati sotto una decina di brand diversi – tra questi Ariston, Elco, Chaffoteaux, Atag, Racold, Calorex – venduti in oltre 150 Paesi nel mondo e in grado di sviluppare un fatturato da 1,71 miliardi di euro (dato 2017), del quale circa l’89% generato fuori dall’Italia.

Nonostante la forte impronta internazionale, “una peculiarità di Ariston Thermo è però il sourcing prevalentemente domestico” spiega a SUPPLY CHAIN ITALY Luciano Viticchié, Logistics director per l’Italia del gruppo. “Questo si concretizza nel fatto che circa il 90% dei prodotti venduti in Italia è realizzato in Italia. Lo stesso avviene per gli altri paesi: questi sono serviti per lo più da produzione italiana e – laddove presente – dalla produzione locale, in minima parte dunque da paesi terzi”. Un’altra particolarità dell’azienda è l’avere una catena di valore integrata verticalmente con la produzione: in sostanza, molte componenti necessarie per le attività produttive sono realizzate da altre imprese del gruppo. La logistica per il loro approvvigionamento è però appannaggio della produzione e quindi non rientra nella funzione della supply chain, prosegue Viticchié prima di addentrarsi nella descrizione di come è organizzata oggi la distribuzione del gruppo in Italia, dopo la profonda riorganizzazione che è stata avviata nel 2018 e che a breve entrerà nella sua ‘fase 2’.

Se a livello mondiale Ariston Thermo si avvale di 26 siti produttivi in 15 diversi paesi, in Italia “ha quattro stabilimenti, tutti concentrati nella provincia di Ancona (a Osimo, Genga, Cerreto e Albacina) e dotati di un proprio magazzino“. A Fabriano, dove il gruppo ha il suo quartier generale, è anche presente un magazzino centrale, precisamente situato in località Borgo Tufico. Tutte e cinque le strutture sono di proprietà della stessa Ariston Thermo e gestite da operatori 3pl locali, selezionati attraverso tender di durata pluriennale.

“Dal mio ingresso in azienda, avvenuto nel 2018, con i miei collaboratori Ariston Thermo ha introdotto una variazione nei flussi di distribuzione. In precedenza infatti tutte le spedizioni destinate al mercato italiano venivano concentrate nel magazzino centrale. Abbiamo cercato di introdurre un’ottica più lean, anche con l’obiettivo di ‘toccare il meno possibile’ i prodotti. Pertanto abbiamo reso i vari stabilimenti in grado di spedire direttamente i prodotti destinati al mercato italiano, a parte alcuni casi in cui abbiamo visto che questo non conviene” ricorda il manager. “La nuova procedura prevede quindi che la spedizione venga gestita direttamente dallo stabilimento produttivo (senza passaggio in quello di smistamento) nei casi in cui dobbiamo inviare solo prodotti realizzati in quello stesso stabilimento (cioè non dobbiamo accorpare prodotti di diversa provenienza), oppure quando abbiamo prodotti che possono arrivare al cliente anche in momenti diversi”.
E nei casi in cui invece si abbia necessità di accorpare merce di più stabilimenti? “Per evitare di dover fare il passaggio a un magazzino di consolidamento centrale (quindi con necessità di navettaggi e così via), abbiamo sperimentato un nuovo modello. In questi casi, prendiamo tutte le spedizioni che dobbiamo fare in un certo giorno verso una certa regione o area. Ogni stabilimento interessato prepara dei pallet multidestino ma tendenzialmente monocodice. Questi vengono portati in un magazzino che fa da pivot per il solo crossdocking, e questo a prescindere dalla destinazione finale della linea che li porta verso il magazzino pivot. Ad esempio un pallet prodotto a Osimo che deve arrivare in Lombardia può ‘salire’ anche su una linea che poi andrà in Sicilia: riceve solo un ‘passaggio’ verso il magazzino pivot. Lì viene solo smistato e ‘risale’ sulla linea verso la sua giusta regione di destinazione“.
Il modello – prosegue Viticchié – “consente quindi che da 4 origini, verso n regioni diverse, servano molto meno di 4n fermate per raccogliere e distribuire tutti i prodotti”. La merce viene quindi ‘toccata’ il meno possibile e tendenzialmente il giorno successivo a quello di uscita dallo stabilimento i pallet sono già nel magazzino della regione giusta. Lì verranno ‘sventagliati’ in chiave monodestino. Questo passaggio, ineliminabile, viene così effettuato nella regione di destinazione finale”.
Oltre a snellire l’intero processo distributivo, la revisione ha dato un ulteriore effetto positivo: “Con questa riorganizzazione abbiamo ridotto della metà i danneggiamenti alla merce”.
Il modello è stato introdotto, con i primi test, a metà 2019, ed è ora attivo per le spedizioni verso diverse regioni. “Lo estenderemo poi ad altre regioni ma non a tutte: ad esempio non ha senso utilizzarlo per quelle vicine”. Un altro elemento da considerare è che, perché questo nuovo modello funzioni, ci deve essere una forte collaborazione con chi gestisce il magazzino finale ‘regionale’. “Ci siamo accorti che funziona al meglio laddove si incontrano piattaforme logistiche regionali radicate sul territorio, perché la sorte dei prodotti dipende dalle persone che la movimentano, dall’attenzione con cui lo fanno”.
Oltre a questa trasformazione già avviata, la revisione della logistica distributiva di Ariston Thermo proseguirà anche in un’altra direzione: “Stiamo già studiando una ‘release 2.0′ di questo progetto: stiamo cioè valutando la possibilità di decentrare un po’ di stock. Ovviamente questa eventualità riguarderebbe solo alcuni specifici codici di prodotto con forti rotazioni”, aggiunge Viticchié.
Complessivamente, Ariston Thermo distribuisce ogni anno in Italia svariate decine di migliaia di metri cubi” di prodotto finito, ed esporta “almeno 5.000 Teu e 2.000 Ftl”. La modalità più utilizzata per l’export è il trasporto stradale (anche in connessione con altre modalità, es. ro-ro per la Spagna, o ferrovia nelle direttrici Est o Nord) per le destinazioni europee. “Del trasporto marittimo ci serviamo soprattutto per i Paesi extra europei. Chiaramente il porto di Ancona ha per noi un ruolo primario, ma ci appoggiamo anche ad altri scali in base alle linee marittime di cui abbiamo necessità”.
Riguardo le destinazioni finali, “la nostra base clienti è bellissima – spiega il direttore logistica di Ariston Thermo – perché è estremamente variegata: comprende le grandi catene della distribuzione e del DIY così come negozi di ferramenta, installatori, e simili. Anche per questo motivo, questo è un lavoro è che necessita sempre di soluzioni ‘sartoriali’, confezionate ad hoc”.
Una visione “quasi romantica della logistica”, ammette lo stesso Viticchié, che spiega di ritenere che le soluzioni da approntare debbano essere “le più opportune al contesto che devono servire. A costo di essere contro-intuitive se serve”. Una concezione del lavoro di Logistics Director che per il manager di Ariston Thermo si accompagna anche a un modo particolare di valutare pregi e difetti del sistema dei trasporti italiano. “So benissimo – conclude – che le mie operazioni logistiche potrebbero essere molto più efficienti con infrastrutture più moderne, più interconnesse, realmente intermodali, ma mi piace dedicare ‘zero tempo’ a questi temi. Le infrastrutture, con il mio ruolo attuale e il mio background culturale, rappresentano, fino a che non cambiano, un set di vincoli entro i quali devo far vivere le operazioni logistiche più efficienti e soddisfacenti possibili“.

Francesca Marchesi

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