Dalla crisi energetica in Cina un nuovo colpo alle supply chain globali
Cresce l’attenzione nel mondo sulle carenze di energia in Cina, che hanno portato Pechino a diramare direttive per limitarne il consumo con conseguenze già visibili sulle attività produttive. A puntare un faro sul fenomeno è stato tra gli altri il Wall Street Journal. Parlando di un ‘power crunch’ di proporzioni mai viste negli ultimi dieci […]
Cresce l’attenzione nel mondo sulle carenze di energia in Cina, che hanno portato Pechino a diramare direttive per limitarne il consumo con conseguenze già visibili sulle attività produttive.
A puntare un faro sul fenomeno è stato tra gli altri il Wall Street Journal. Parlando di un ‘power crunch’ di proporzioni mai viste negli ultimi dieci anni, la testata ha anche raccolto la testimonianza di Mike Beckham, Ceo di Simple Modern, che tra le altre cose produce zaini, al quale i suoi fornitori cinesi (dell’area di Quzhou) hanno riferito di avere ricevuto l’ordine di limitare la produzione a quattro giorni a settimana (anziché sei) e di non sforare un certo tetto di consumo (inferiore di un terzo a quello standard). Azioni che fanno temere al manager che i prezzi alla vendita al consumatore finali potranno aumentare del 15% nella prossima primavera.
Secondo il Wsj, una politica di razionamento dell’energia era stata avviata in alcune province cinesi già alla fine di agosto ma è dalla metà di settembre che il fenomeno si è allargato a varie zone del paese, con lo spegnimento dell’illuminazione stradale, vari blackout, la cancellazione di festeggiamenti pubblici in occasione di festività e appunto lo stop a intermittenza di alcune attività produttive.
Tra le cause della crisi dell’energia, il Wall Street Journal cita sia una carenza di stock domestici di carbone, sia il taglio delle importazioni dello stesso da Australia e Mongolia, sia l’introduzione di obiettivi di efficientamento energetico da parte di Pechino. Dall’altro lato, la domanda di elettricità è parallelamente cresciuta per via del ritorno alla grande della domanda dei consumatori occidentali.
Il fenomeno rischia comunque di avere diverse conseguenze pesanti. Una di queste è anche l’impatto sulle supply chain globali, visto che inevitabilmente genererà una carenza di prodotti (in particolare giocattoli, tessuti, parti di ricambio) e spingerà verso l’alto i prezzi di componenti e semilavorati, dando per ultimo una spinta all’inflazione globale, in particolare dei paesi con le economie più mature.
Secondo una analisi della società di analisi Russell Group, scrive Container News, più concretamente la crisi energetica cinese potrebbe ‘ritardare’ scambi per un importo di 120 miliardi di dollari. Al momento secondo la testata sta interessando direttamente stabilimenti produttivi delle aree di Jiangsu, Guangdong e Zhejiang in cui sono realizzate merci in acciaio, in plastica, oggetti per la casa, prodotti tessili e chimici.
Una conseguenza interessante della crisi sul sistema globale dei trasporti è infine quella evidenziata da Caixin. La testata cinese è per il momento l’unica a parlare di un “crollo” riscontrato questa settimana nei livelli dei noli per le spedizioni via mare dalla Cina agli Stati Uniti anche come effetto del calo di produzione, e quindi di esportazioni, dal paese. In particolare per un dirigente di una società di trasporti di Shanghai l’invio di un container da 40 piedi dalla Cina alla costa occidentale degli Stati Uniti si sarebbe quasi dimezzato nell’ultima settimana, passando da 15mila a circa 8mila dollari, mentre per rotte verso la East Coast nello stesso intervallo si sarebbe passati da 20mila a circa 15mila dollari.
Da evidenziare tra parentesi che secondo l’ultima rilevazione di Drewry, risalente però a giovedì scorso, i noli della rotta Shanghai – Los Angeles per un box da 40′ sarebbero invece pari ancora a 12.172 dollari, in calo dell’1% rispetto a 7 giorni prima, mentre quelli della Shanghai – New York sarebbero stabili a 15.849 dollari.
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