Ecco come Barilla ha razionalizzato magazzini, trasporti terrestri e ridotto le emissioni
Spesso razionalizzazione della catena logistica e riduzione dell’impatto ambientale delle emissioni di CO2 vanno di pari passo. Un rapporto virtuoso tra questi due fenomeni non è però automatico, ma deve essere il frutto di obiettivi chiari e condivisi a tutti i livelli aziendali, come dimostra un caso recente che ha visto come protagonista Barilla. Il […]

Spesso razionalizzazione della catena logistica e riduzione dell’impatto ambientale delle emissioni di CO2 vanno di pari passo. Un rapporto virtuoso tra questi due fenomeni non è però automatico, ma deve essere il frutto di obiettivi chiari e condivisi a tutti i livelli aziendali, come dimostra un caso recente che ha visto come protagonista Barilla.
Il gruppo di Parma – ha raccontato Nicola Solfrizzi, Central Distribution Planning Director di Barilla, nel corso di un webinar organizzato da GS1 – si è infatti recentemente trovato a dover rivedere la propria supply chain italiana, in progressivo congestionamento per via degli incrementi di volumi (tra il 2013 e il 2017 cresciuti del 15%; solo nel 2018 l’azienda ha distribuito nella Penisola 755.000 tonnellate di prodotto, con circa 110.000 viaggi dedicati).
La catena di distribuzione, sotto sforzo, risultava anche estremamente articolata, con un totale di 38 siti logistici tra strutture gestite in proprio e da terzi. Nel ventaglio di strutture dell’azienda figuravano infatti strutture di diversa funzione: 6 plant warehouse (spazi di stoccaggio a diretto servizio degli impianti di produzione) e 4 mix warehouses (magazzini di stabilimento anche per lo stoccaggio di prodotti provenienti da altri stabilimenti), tutti della stessa Barilla. A questi andavano aggiunti 15 impianti ‘copacker’ (per il confezionamento dei prodotti, gestite dai fornitori del servizio) e infine ulteriori 6 impianti ausiliari e 7 hub, in mano invece a operatori logistici 3PL.
La scelta aziendale è andata nella direzione di eliminare un passaggio ritenuto di troppo, e cioè quello dei ‘mix warehouse’, e pertanto nel 2018 Barilla ha lanciato il progetto DNA (Distribution Network Assessment), che si è concentrato sui magazzini di stabilimento. I flussi dagli stabilimenti ai cosiddetti mix warehouses sono stati progressivamente eliminati e dirottati negli hub destinati alla distribuzione finale, considerati più idonei ed efficienti. L’implementazione del piano aveva come obiettivo l’ottimizzazione dei flussi e la saturazione dei trasporti.
“In Barilla ogni progetto aziendale, però, deve ‘passare’ anche una valutazione positiva in termini di sostenibilità ambientale, e deve cioè essere coerente con il piano aziendale Good For You, Good For The Planet dell’azienda” ha spiegato Solfrizzi. Il piano DNA doveva cioè dimostrare di essere migliorativo anche dal lato delle emissioni, e grazie al web tool Ecologistico2 di GS1 si è potuto verificare che lo fosse davvero.
Nonostante un aumento del numero di viaggi (da 15.434 a 16.915, circa +10%), il nuovo network distributivo di Barilla ha ridotto del 7% la distanza in km percorsa annualmente (mentre la percorrenza media è diminuita del 15%). Di conseguenza sono risultate ridotte (pure del 7%) le emissioni di CO2 complessive (ovvero WTW, WellToWheel, dal ‘pozzo’ alla ruota), quelle per tonnellata spedita sono scese del 16%, e parallelamente le emissioni di polveri sottili PMx sono diminuite del 7%.
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