Durf, struttura dirigenziale, bilancio: cosa considerare nella scelta di un operatore logistico
Milano – Come scegliere un partner a cui affidare la gestione dei propri magazzini? Domanda di stretta attualità considerate le inchieste che hanno coinvolto diversi primari operatori logistici, e che è stata affrontata nella presentazione dei risultati 2020 dell’Osservatorio Contract Logistics Gino Marchet del Politecnico di Milano, appena tenutasi nel capoluogo lombardo. Secondo l’analisi del […]
Milano – Come scegliere un partner a cui affidare la gestione dei propri magazzini? Domanda di stretta attualità considerate le inchieste che hanno coinvolto diversi primari operatori logistici, e che è stata affrontata nella presentazione dei risultati 2020 dell’Osservatorio Contract Logistics Gino Marchet del Politecnico di Milano, appena tenutasi nel capoluogo lombardo.
Secondo l’analisi del gruppo di lavoro – presentata durante il convegno dal direttore scientifico dell’Osservatorio, Marco Melacini – la bontà di un gestore non risiede nella sua ragione sociale (in altre parole, non è detto che tra una cooperativa e una Srl la seconda sia per forza migliore), mentre è la valutazione di alcuni precisi parametri a poter fornire una indicazione.
Per individuare nel mucchio le “realtà strutturate”, gli intervistati – committenti e fornitori di servizi – hanno indicato come criteri innanzitutto la chiarezza della struttura dirigenziale (intesa come “visibilità sui soci e su chi ha deleghe e poteri”), la certificazione Durf (cioè il Documento unico di regolarità fiscale) e un’analisi dei bilanci fatta da società specializzate (con richiesta di rating pubblico), come il Cerved.
Soprattutto il primo punto è stato sottolineato da diversi degli operatori che hanno ricordato casi limite come quelle di “realtà di handling i cui soci sono fiduciarie con sede in Svizzera”, altre in cui tutte le deleghe “sono in mano al commercialista” o peggio ancora in cui gli amministratori sono “dei prestanome”.
Una certa importanza è stata attribuita anche a fattori come la durata media dei contratti stipulati, l’assenza di frequenti cambi di ragione sociale e soci, la presenza di un organismo di vigilanza (inclusa la visibilità sul revisore dei conti) e di referenze verificabili. Minore attenzione viene data infine a fattori come la capitalizzazione minima e l’iscrizione ad associazioni di categoria.
Rispetto alla valutazione ex post, dalla ricerca emerge che il più rilevante è lo “sviluppo di un modello industriale della commessa”, ovvero un documento condiviso tra le parti in cui sono indicati il carico di lavoro e le risorse da impiegare, eventualmente flessibile ma comunque in grado di offrire trasparenza. Altro parametro simile è l’incrocio tra ore lavorate e il valore della commessa, per identificare eventuali anomalie, e poter arrivare anche alla conduzione di smart audit, ovvero verifiche a campione e in anonimo dei cedolini. Ulteriori elementi da tenere in considerazione sono infine la visibilità sugli accordi di secondo livello presenti in azienda e, ancora, l’analisi del libro unico del lavoro (Lul).
F.M.
LE FOTO DEL CONVEGNO