L’amministrazione Biden rafforza ancora il programma Buy American
“Instead of relying on foreign supply chains, let’s make it in America“. Lo ha affermato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden durante il suo primo discorso sullo Stato dell’Unione, pronunciato lo scorso 1 marzo nel quale, oltre ad affrontare il tema della guerra in Ucraina, ha dedicato ampio spazio al tema delle catene di […]

“Instead of relying on foreign supply chains, let’s make it in America“. Lo ha affermato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden durante il suo primo discorso sullo Stato dell’Unione, pronunciato lo scorso 1 marzo nel quale, oltre ad affrontare il tema della guerra in Ucraina, ha dedicato ampio spazio al tema delle catene di approvvigionamento e al loro riposizionamento all’interno dei confini del paese come azione chiave per combattere l’inflazione. “Costruiremo più auto e semiconduttori in America. Più infrastrutture e innovazione in America. [Ci saranno] più merci che si sposteranno più rapidamente e a costi minori in America” ha detto ancora il presidente Usa.
Le dichiarazioni di Biden si inseriscono in un programma politico avviato già da tempo dalla sua amministrazione per rafforzare il cosiddetto Buy American Act, legge emanata dal Congresso Usa del 1933 e tuttora in vigore che (salvo alcune deroghe) impone limiti all’acquisto di prodotti stranieri per gli appalti pubblici all’interno del territorio nazionale, con lo scopo di rafforzare l’industria manufatturiera del paese.
Programma che l’amministrazione Biden ha annunciato nei giorni scorsi di avere rafforzato ulteriormente anche per gli anni a venire prevedendo incrementi progressivi delle quote di prodotti che dovranno essere ‘made in Usa’. Secondo le informazioni riportate dal Wall Street Journal e dalla Cnn, per gli appalti che ricadono sotto l’ombrello del Buy American la percentuale salirà al 60% (dall’attuale 55%) entro il prossimo ottobre, per poi crescere fino al 65% entro il 2024 e raggiungere il 75% entro il 2029.
Questo annuncio arriva circa un anno dopo la firma di un Executive Order (il numero 14017), nel febbraio del 2021, con cui Biden si era proposto di rendere in prospettiva alcune produzioni meno dipendenti da estero. In particolare il provvedimento aveva interessato prodotti farmaceutici, terre rare, semiconduttori e batterie, forniture per le quali il presidente aveva chiesto inoltre alle agenzie federali Usa di valutare la dipendenza dall’estero, prevedendo revisioni periodiche delle stesse analisi per valutare vulnerabilità e aree di miglioramento. Una mossa che era stata letta soprattutto in chiave anti-cinese.
Nei giorni scorsi, a distanza appunto di un anno dalla firma, la Casa Bianca è tornata sull’iniziativa dando notizia della pubblicazione di alcuni report di aggiornamento delle stesse agenzie ed evidenziando che le azioni avviate con l’Ordine esecutivo abbiano a suo avviso contribuito “alla storica ripresa del settore manufatturiero statunitense”. In particolare, nel primo anno della presidenza “gli Stati Uniti hanno aggiunto 367mila posti di lavoro nel settore”, il quale è tornato a contribuire al Pil del paese “per una quota pari a quella pre-pandemica”. La nota della Casa Bianca evidenzia anche che i porti Usa hanno movimentato “volumi record” nel 2021, mentre le scorte (escluso quelle del settore auto) sono parallelamente cresciute del 5% sull’anno precedente.
Nella stessa nota la presidenza ha anche annunciato una serie di nuove iniziative in questo ambito, tra cui il lancio di un primo piano da 450 milioni di dollari da parte del Department of Transportation’s Maritime Administration per progetti relativi allo sviluppo dei porti del paese – in particolare la rimozione di colli di bottiglia, l’incremento delle connessioni intermodali e l’aumento di capacità degli scali – finanziato nell’ambito del Bipartisan Infrastructure Law, il giga piano di infrastrutturale da 715 miliardi, che complessivamente destinerà 17 miliardi di dollari a porti e vie d’acqua.
F.M.
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