Ipotesi ri-export per spiegare il boom di vendite italiane di farmaci alla Cina
L’exploit delle esportazioni italiane verso la Cina nel mese di febbraio ha fatto interrogare molti sulle origini del fenomeno. Secondo l’Istat, nel mese le vendite in direzione del paese asiatico sono state pari al 131,4% in più rispetto a quelle di un anno prima (+17% invece la crescita media dell’export nei paesi extra-Ue), per un […]
L’exploit delle esportazioni italiane verso la Cina nel mese di febbraio ha fatto interrogare molti sulle origini del fenomeno. Secondo l’Istat, nel mese le vendite in direzione del paese asiatico sono state pari al 131,4% in più rispetto a quelle di un anno prima (+17% invece la crescita media dell’export nei paesi extra-Ue), per un valore di circa 3 miliardi di dollari, dei quali 1,84 miliardi dovuti in particolare al settore dei prodotti pharma (contro i 98,5 milioni di del febbraio 2022).
Una ipotesi di spiegazione circolata nei giorni scorsi considera il ruolo dell’Udca (acido ursodesossicolico), un prodotto chimico utilizzato nella produzione di farmaci per la cura di malattie epatiche a cui sono attribuite proprietà, al momento ancora tutte da verificare, nella prevenzione del Covid. Questo componente, secondo questa teoria, sarebbe stato acquistato in massa dagli importatori cinesi perché nel paese, che non dispone di vaccini anti-Covid dalla efficacia comparabile con quelli prodotti in Occidente, sarebbe assai richiesto dalla popolazione, alla ricerca di preparati in grado di proteggerla dall’infezione ora in particolare che le restrizioni stanno cadendo. Prima ancora, la crescita inaspettata delle esportazioni italiane di farmaci verso la Cina era stata al centro anche di alcune dietrologie che la volevano frutto di un presunto aggiramento delle sanzioni contro l’export in Russia.
Diversi analisti statunitensi che si sono dedicati nei giorni scorsi alla sua disamina oltre a smentire quest’ultima ricostruzione hanno anche ridefinito il trend. In particolare Robin Brooks, dell’Institute of International Finance di Washington, su Twitter ne ha ridimensionato l’ entità, evidenziando come l’incremento delle vendite sia stato soprattutto in termini di prezzo, considerando che in volume nello stesso mese l’export di prodotti farmaceutici in Cina fosse cresciuto ‘solo’ del 62%.
A mettere inoltre in discussione l’ipotesi secondo cui il boom fosse legato soprattutto alle vendite di Udca è stato però Peter Ceretti di Eurasia Group, società di consulenza e analisi di base a Brookylin specializzata sul tema dei rischi geo-politici, in un intervento rilasciato a Bloomberg e in un post su Twitter. Pur riconoscendo che possa esistere un legame tra gli aumenti di casi di Covid in Cina e la crescita dell’export italiano di farmaci nel paese (già peraltro osservata nel mese di dicembre, e potenzialmente legata anche alla produzione di altri prodotti utilizzati nel contrasto alla malattia), l’analista ha evidenziato però il ruolo che potrebbero giocare in questo incremento fuori misura le ri-esportazioni dalla Penisola.
Ceretti ha in particolare mostrato come le ri-esportazioni di farmaci dall’Italia verso la Cina siano state limitate per tutto il 2022, fino poi a balzare in alto nel gennaio 2023, arrivando a quota 620 milioni di euro (dai circa 3,47 che avevano contraddistinto caratterizzato i mesi da aprile a dicembre 2022). A questa osservazione l’analista ne ha affiancata un’altra, relativa al forte aumento a partire dalla tarda metà del 2022 delle importazioni (in termini di valore) in Italia dalla Germania e dai paesi dell’area Euro di prodotti farmaceutici (identificati con il codice h23004).
Da qui l’ipotesi di spiegazione alternativa dell’analista, secondo il quale le grandi società italiane (o comunque con presenza italiana) del settore del farmaco potrebbero aver incrementato le importazioni da loro controllate o altri fornitori in Europa per poter far fronte alla domanda, molto forte, di prodotti richiesti dal mercato cinese.
Nel frattempo, il ‘mistero del boom delle esportazioni di farmaci italiani in Cina’ si è però sgonfiato se non altro nelle due dimensioni. Come sottolineato da Brooks, i primi dati relativi al marzo 2023 mostrano infatti che nel mese le vendite italiane verso il paese asiatico nel loro insieme si sarebbero fermate a 1,8 miliardi (contro, come detto, i 3 miliardi di febbraio), cosa che porta l’analista a concludere che, “qualsiasi cosa sia successa, ora sta terminando”.