“Anche rischi fiscali dall’utilizzo della resa Ex Works”
Camerinelli (Eni) evidenzia in particolare i pericoli in caso di esportazioni soggette ad accise

“Esportare una merce soggetta ad accisa verso un Paese terzo utilizzando la clausola Ex Works (Exw) è una scelta che, sul piano operativo e fiscale, merita molta più attenzione di quanta normalmente se ne riscontri nella prassi aziendale”. A puntare l’attenzione su questo tema è, in un post su LinkedIn, Andrea Camerinelli, responsabile Accise e Dogane di Eni, secondo il quale in questo contesto una decisione “apparentemente commerciale può trasformarsi, se non adeguatamente governata, in un serio problema di natura tributaria”.
Come noto, la clausola Ex Works lascia in carico all’acquirente estero – o un suo incaricato – le attività successive alla messa a disposizione della merce presso i locali del venditore, tra cui – sottolinea Camerinelli, le operazioni doganali di esportazione.
Nella prassi, secondo il manager di Eni questa impostazione, “entra in forte tensione con la normativa doganale e, soprattutto, con quella sulle accise”, dato che al di là degli accordi tra le parti per l’ordinamento unionale e nazionale “ciò che conta è chi risulta responsabile dell’immissione della merce in un determinato regime doganale e chi è in grado di dimostrare, con documentazione certa, che l’operazione di esportazione si è effettivamente e regolarmente conclusa”.
Per quel che riguarda in particolare i prodotti sottoposti ad accisa, ricorda Camerinelli, l’esportazione verso un Paese terzo consente la non applicazione o il suo rimborso, ma “solo a condizione che l’uscita della merce dal territorio doganale dell’Unione sia provata in modo incontrovertibile”, solitamente tramite “la chiusura della dichiarazione di esportazione da parte della dogana di uscita, attraverso il messaggio elettronico che certifica l’effettiva uscita della merce dalla UE”. Proprio qui si anniderebbe il rischio per l’azienda esportatrice, se questa confidando nella clausola Ex Works, lascia integralmente le attività doganali a un soggetto esterno – quale lo spedizioniere dell’acquirente estero – perde il controllo su un passaggio essenziale dell’operazione.
Nel concreto, “se la bolletta di esportazione non viene correttamente appurata, se la merce non risulta uscita dal territorio dell’Ue o se manca la prova informatica della chiusura”, pertanto l’amministrazione finanziaria è legittimata a considerare l’esportazione come non avvenuta, con conseguente recupero dell’accisa a carico dello speditore, applicazione di interessi ed eventualmente di sanzioni.
Un monito condiviso anche dall’avvocato Benedetto Santacroce, titolare dell’omonimo studio romano, che ha sottolineato come ci siano “regole e soluzioni da adottare all’esportazione (con il luogo approvato e il controllo dell’operazione fino allo sdoganamento) oppure nelle operazioni intra Ue con il recupero dei documenti di trasporto accompagnati da una dichiarazione dell’acquirente”.
Nei prodotti soggetti ad accise, ha evidenziato infine Santacroce, “il rischio è ancora più rilevante non solo per i numeri in gioco, ma anche per la stretta rendicontazione e per la documentazione che accompagna la merce nel suo tragitto. Le regole impongono impegni del venditore più stringenti anche quando si opera tra depositi fiscali”.
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