Export italiano stimato a 660 miliardi euro (+6,8%) nel 2023
In forte aumento durante l’anno le vendite destinate a Cina, ma anche a India, Arabia Saudita e Croazia. Incremento del 9,3% per i beni ambientali
Investire in digitalizzazione, innovazione e transizione energetica: questo il suggerimento di Sace alle imprese italiane che vogliano rafforzare la competitività sui mercati internazionali. Il messaggio è emerso dal Rapporto Export 2023 dell’agenzia, appena presentato a Milano, nel quale è tracciata la previsione di un 2023 dalle prospettive macroeconomiche deboli, ma positive, a cui seguirà un 2024 di maggiore slancio, con un Pil globale in crescita a +1,7% quest’anno e a +2,5% il prossimo, con un trend che sarà ricalcato dal commercio internazionale di beni. Stabile inoltre durante l’anno il grado di apertura commerciale (incidenza degli scambi complessivi sul Pil mondiale) a indicare secondo Sace che è in atto una fase di ri-globalizzazione, ossia di aggiustamento delle catene globali del valore nell’ottica di una maggiore diversificazione di fornitori e mercati di sbocco.
Relativamente all’Italia, l’export si confermerà solido motore di sviluppo. Dopo il +20% dello scorso anno (attribuibile principalmente alla componente prezzi), le esportazioni di beni nel 2023 cresceranno del 6,8%, superando i 660 miliardi di euro. L’anno prossimo il ritmo rimarrà sostenuto al +4,6% per poi assestarsi al +3,8% medio annuo nel biennio successivo. A dare un forte impulso all’innovazione saranno gli investimenti green e in nuove tecnologie. “Le imprese che investono in sostenibilità e in digitalizzazione sono anche quelle che esportano, di più e meglio” ha detto al riguardo Alessandra Ricci, Amministratore Delegato dell’agenzia. Naturalmente non possono essere del tutto scartati eventuali scenari alternativi: in particolare in caso pressioni inflative persistenti nel 2023, e di conseguente ulteriore inasprimento delle politiche monetarie delle banche centrali, che potrebbero limitare l’export italiano, o al contrario a quadri di minor pressione sui prezzi delle materie prime e sui costi di produzione si allenterebbero, che invece lo favorirebbero.
Per l’anno in corso l’analisi più accreditata prevede inoltre una crescita anche dei volumi (+1,3%), di entità contenuta anche per via della debolezza del commercio internazionale, che si intensificherà progressivamente nel triennio successivo. La quota di mercato italiana a livello mondiale, in crescita nel 2022 dal 2,4% al 2,6%, nel 2023, potrebbe inoltre ulteriormente aumentare nonostante un lieve peggioramento atteso della competitività di prezzo complessiva, in linea con Germania e Francia.
Tra i paesi di destinazione, le principali economie come Germania, Stati Uniti, Francia e Cina, si confermano quelle di riferimento per le vendite italiane, ma opportunità sempre più significative arrivano da Paesi del Golfo, India, Thailandia, Vietnam, Messico, Brasile e dalla Croazia, ‘new entry’ dell’Eurozona. In particolare nel 2023 la maggiore spinta è attesa dalla Cina (+17%), per via della riapertura completa dopo anni di restrizioni anti-Covid. Pechino, insieme a Nuova Delhi, farà da traino a tutta l’area asiatica e, di riflesso, a quella mondiale. L’India (+10,3%), infatti, si conferma tra i mercati in maggiore espansione per l’export italiano di beni grazie all’importante evoluzione del suo sistema produttivo. L’andamento delle vendite italiane risentirà inoltre positivamente della robusta crescita economica del Vietnam (+8,1% nel 2023 e +6,5% nel 2024), favorita da un contesto politico stabile e dal crescente ruolo di hub manifatturiero nella regione.
La guerra In Ucraina, di contro, ha accelerato il riassetto energetico dello scacchiere internazionale, favorendo le economie del Golfo, con effetti positivi anche per la domanda di beni italiani, in particolare in Arabia Saudita (+15,6%) ed Emirati Arabi Uniti (+10% per il 2023 almeno +5% per il 2024)
Messico e Brasile saranno i due principali mercati dell’America Latina ma anche quelli con prospettive di domanda più favorevoli. Il primo in particolare (+8,4%) godrà del fenomeno del nearshoring, in atto dallo scorso anno, mentre in Brasile (+7,2%) giocherà a favore delle vendite italiane l’aumento di peso del comparto manifatturiero sul totale del valore aggiunto. In forte aumento anche la Croazia (+14,4%), entrata nell’Eurozona a gennaio 2023.
Continuerà inoltre a crescere (+6%) il contributo degli Stati Uniti, grazie a una economia solida basata sulla forza del mercato interno e sulla indipendenza energetica continuano a imprimere una discreta performance dell’economia degli Stati Uniti, che si rafforzerà ulteriormente grazie alla spinta che l’Inflation Reduction Act imprimerà a molti settori con risvolti positivi anche per il nostro export (+6%). Le nostre imprese potranno, infatti, beneficiare degli ingenti investimenti del piano, non solo investendo direttamente nel mercato statunitense ma anche allacciando contratti di fornitura in loco con clienti lungo l’intera catena di valore.
Un focus particolare è stato dedicato da Sace, per la prima volta, alle esportazioni di beni ambientali (Eg), ovvero di beni connessi alla protezione dell’ambiente (ad esempio i convertitori catalitici) adattati per essere più ‘puliti’ (biocarburanti, batterie senza mercurio e auto ibride ed elettriche).
Secondo l’analisi l’Italia negli ultimi decenni si è mantenuta al secondo posto nell’Ue con un export che ammonta a 60 mld di dollari nel 2021, ovvero il 3,4% degli scambi mondiali (+5% Cagr 2000-21). I principali settori di export sono stati la meccanica strumentale, gli apparecchi elettrici (ad esempio motori e generatori elettrici, quadri di distribuzione) e altri investimenti (specie strumenti di misurazione e controllo). I forti investimenti per la transizione in corso secondo Sace spingeranno l’export italiano di beni ambientali al + 9,3% nel 2023 e il prossimo anno al +9,7%, accelerando poi a circa il 14% all’anno in media nel 2025-26.
Più in generale, il report evidenzia come anche dalle recenti indagini realizzate presso le imprese italiane dal Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere, circa il 67% delle aziende che investe nelle tecnologie digitali esporta, contro il 44% di quelle che non investono. Le imprese che investono in 4.0 e innovano il proprio modello di business hanno, infatti, una probabilità di esportare superiore di circa tre volte rispetto a quelle che investono senza modificare il proprio modello (14,5% vs. 5,2%). La prima categoria è anche più presente nei mercati internazionali rispetto alle imprese che non investono nel 4.0: in misura più diffusa ci si attende, infatti, che il 47% delle aziende che investono nel 4.0 e che hanno cambiato il proprio modello di business aumenteranno la loro quota di export nel 2023, mentre tra quelle che non investono solo il 30% vedrà aumentare il valore delle proprie esportazioni.