Almeno altre 17mila aziende italiane potrebbero iniziare a esportare
Uno studio di Unioncamere evidenzia potenzialità che potrebbero far crescere il valore delle vendite estere fino al 3%

Le aziende italiane che esportano sono 120.876, ma almeno altre 17mila, politiche tariffarie permettendo, potrebbero rapidamente aggiungersi a questa platea, se adeguatamente supportate, per un aumento del valore dell’export tra il 2,6% e il 3%.
Lo sostiene uno studio realizzato da Centro Studi Tagliacarne per Unioncamere appena pubblicato che si è proposto di analizzare le caratteristiche strutturali delle imprese italiane che già vendono all’estero e identificare, con modelli predittivi avanzati, le potenziali esportatrici. Nell’analisi sono state considerate le 743.533 realtà attive continuativamente nel periodo 2015–2021. Di queste, si legge nel rapporto, 216.401 hanno esportato almeno una volta. Più nel dettaglio, del totale delle aziende, il 71% non ha mai eseguito vendite estere, il 16,5% ha esportato in modo occasionale, il 4,9% in modo regolare (per 4-6 anni sui sette considerati) e solo il 7,7% in modo consolidato (in tutti i 7 anni).
Concentrando lo sguardo sulle aziende potenzialmente esportatrici, come detto lo studio ne ha individuate 17.028, dividendole tra le aspiranti esportatrici (ovvero società non esportatrici dalle caratteristiche simili a quelle che esportano), la quota minore ovvero 5.601 unità, e le esportatrici emergenti (che ad oggi effettuano vendite estere occasionali ma hanno alta probabilità di consolidarsi), pari a 11.427.
Tra le prime, prevalgono le aziende di base al Nord (pari a oltre il 55% del totale) di cui il 31,3% nel Nord-Ovest e il 23,8% nel Nord Est. Seguono le realtà del Centro (20,5%) e del Sud (18,2%), mentre sono una quota molto limitata quelle con sede nelle isole (6,3%). Tra le regioni, la parte del leone la fa la Lombardia (20%), seguita dal Veneto (11,4%). Quote inferiori di aziende ‘aspiranti esportatrici’ si ritrovano in Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte e Campania (8%-7%). Quanto alle dimensioni, si tratta per la quasi totalità di microimprese (97,5%), mentre una quota limitata è di aziende piccole (2,4%). I loro principali settori sono quelli del commercio all’ingrosso (33,5%), del commercio autoveicoli (18,9%), dei prodotti in metallo (11%) e delle industrie alimentari (5,6%). Infine, rispetto al fatturato quello dell’86,4% delle imprese è compreso tra 200 e 499mila euro, mentre solo l’1,7% supera il milione di euro.
Passando invece alle 11.427 imprese emergenti – attive nel commercio estero in modo intermittente ovvero in 1-3 anni sui sette dell’analisi – è ancora più marcata l’appartenenza al Settentrione, con il 38,1% del totale che ha sede nel Nord-Ovest e il 23,9% nel Nord Est. Di base nel Centro il 18,6% del totale, mentre al Sud si trova il 14,8% e nelle isole il 4,5%. Guardando alle regioni, sale la quota di imprese lombarde (27,4%). Seguono ancora Veneto (11,3%), Emilia-Romagna (8,8%) e Piemonte e Toscana (8,6%). In questa categoria, risulta invece meno dominante la quota di microimprese (il 72,6%) e più significativa quella di aziende piccole (23,8%), mentre compaiono anche le realtà di medie dimensioni (3%) e in quota minoritaria le grandi (0,6%). In questo gruppo il 46,2% delle imprese ha un fatturato tra i 200mila e i 2 milioni di euro, l’1,3% supera i 50 milioni, mentre il 5% sviluppa ricavi per meno di 50mila euro.
Interessante notare che tra le imprese esportatrici emergenti – sono 1.608 le aziende che hanno tra i mercati esteri gli Stati Uniti. Queste realtà hanno esportato € 87,4 milioni di euro di beni e servizi negli Usa (15,7% del totale esportato). Tra loro, quasi la totalità (1.069 imprese) esportano il totale dei loro volumi verso gli Stati Uniti, mentre altre 260 vendono nel paese una quota pari o superiore al 40% del totale del loro export.
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