Alimentare, largo consumo e farmaceutica i ‘best performer’ dell’export 2025 secondo Prometeia – Intesa Sanpaolo
Stimata una crescita dell’1,8% medio annuo per le vendite estere dell’industria italiana nel quadriennio 2026-2029

Dopo i primi mesi caratterizzati da una grande incertezza, per l’industria manifatturiera italiana la seconda parte del 2025 sarà contrassegnata da condizioni operative ancora deteriorate. In questo quadro emergono però anche deboli segnali di miglioramento, che derivano dalla contrazione meno intensa degli ordini alla risalita delle attese sulla produzione. Questo quanto emerge dal Report Analisi dei Settori Industriali presentato da Intesa Sanpaolo e Prometeia.
Il recupero dei prossimi mesi non sarà sufficiente a riportare in crescita il manifatturiero, ma potrà garantire una stabilizzazione del fatturato sui livelli 2024, a prezzi costanti, e un modesto recupero a prezzi correnti (+1,8%, dopo il -3,4% registrato nel 2024), per un giro d’affari complessivo pari a 1.143 miliardi di euro, 229 in più rispetto al 2019.
Per controbilanciare la generale debolezza degli scambi mondiali secondo lo studio sarà fondamentale la riattivazione del commercio intra-Ue. Questa sarà guidata dal raffreddamento dell’inflazione e dalla ripresa della Germania – mercato rilevante per tutti i settori manifatturieri (e per molti produttori di beni intermedi ancor più rilevante di quello americano) – dopo due anni di stallo del ciclo economico. Sul fronte dell’export i settori ‘best performer’ saranno quelli di alimentare e bevande, largo consumo e farmaceutica, anche se su ritmi meno vivaci rispetto al 2024, ma sarà positiva anche l’evoluzione delle vendite estere della meccanica. Alla crescita 2025, sia dal lato dei consumi che degli investimenti, darà comunque un contributo anche il mercato interno, soprattutto per quel che riguarda i servizi, mentre gli acquisti di beni, soprattutto per la mobilità e di moda, continueranno a stazionare su livelli depressi.
Passando al quadriennio 2026-29, il report stima un ritmo medio annuo di crescita dell’1% in termini di fatturato deflazionato, come sintesi di un biennio 2026-27 più dinamico (+1,2%), grazie alla spinta del Pnrr, e di un secondo biennio 2028-29 con crescita sotto l’1%. Dal 2028, in assenza di nuovi provvedimenti di sostegno al mercato interno, il traino tornerà a essere affidato soprattutto alle esportazioni.
In questo periodo, sarà la capacità dell’industria italiana di servire nicchie di mercato a elevato valore aggiunto a continuare a offrire opportunità sui mercati esteri. Secondo le stime, le esportazioni cresceranno a un tasso medio annuo dell’1,8% (a prezzi costanti) nel quadriennio 2026-29, con un saldo commerciale che si assesterà sui 134 miliardi di euro al 2029 (+31 miliardi rispetto al 2019). Più della metà dell’avanzo commerciale sarà realizzato dalla meccanica, che oltre a beneficiare del recupero della domanda tedesca, potrebbe trovare sostegno anche nella potenziale ricostituzione della base produttiva americana.
Relativamente al mercato Usa, il report non esclude rischi di natura commerciale ma invita a considerare come sia soprattutto la fascia alta a fare da traino, non solo per la meccanica, che produce beni a elevato valore aggiunto, ma anche per settori rilevanti del made in Italy come alimentare e bevande e sistema moda. In questi due segmenti la quota di mercato dell’Italia sui prodotti a elevato prezzo (import 2023) raggiunge rispettivamente il 7,1% e il 6,1%. Rilevanti anche le quote detenute da largo consumo (9,8%) e prodotti e materiali da costruzione (7,7%), che include il comparto delle piastrelle. Un posizionamento che secondo l’analisi potrà rappresentare un vantaggio competitivo non solo nel caso di introduzione effettiva di dazi da parte dell’amministrazione Usa ma anche nell’ottica di una espansione su altri mercati.
Digitalizzazione, efficientamento energetico e sostenibilità dell’offerta continueranno comunque a essere le chiavi per aggredire i mercati che offriranno le maggiori opportunità di crescita. Sul fronte della digitalizzazione, permane ancora un gap da colmare nei confronti dei concorrenti europei, in particolare nell’uso di tecnologie avanzate come i big data e l’intelligenza artificiale, e soprattutto per quel che riguarda le Pmi. Anche gli scarsi investimenti in capitale umano possono intensificare i ritardi tecnologici, in una spirale che comprime le possibilità di crescita e di attrattività.
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